AGNÈS GEOFFRAY (1973)


 

Diplomata alle scuole di belle arti di Lione e Parigi, Agnès Geoffray ha svolto residenze presso la Rijksakademie di Amsterdam dal 2002 al 2003 e a Villa Medici a Roma nel 2010. Lavorando al confine tra fotografia e installazione, utilizzando immagini fisse e in movimento, ma anche testi, proiezioni, oggetti e performance, il suo lavoro si sviluppa come una molteplicità di esperienze che sfidano l'immagine e il linguaggio. Sono stimolanti per le domande che pongono sui modi in cui rispondiamo alle costrizioni - fisiche, mentali, politiche, sociali - e le superiamo, fisicamente e linguisticamente. Il lavoro esiste in uno stato di sospensione, nelle pieghe e nelle cuciture tra parola e immagine, due strumenti che l'artista utilizza indistintamente per descrivere corpi, gesti, posture e linguaggio. Eppure il linguaggio non è neutro, e così A. Geoffray ne mostra anche la violenza, e la violenza della storia sui corpi e sulle parole, strappati dal loro contesto. Come possiamo opporci silenziosamente all'oblio? Come creare un legame tra parola e immagine? Tra il linguaggio e il corpo? Queste sono le domande che A. Geoffray si pone. Esse convergono in diverse serie, come "Pièces à conviction" e "Les Messagers", in cui scrittura e fotografia insieme gettano luce su ciò che rimane non detto della storia, della costrizione politica e del potere. Le opere si basano su un gesto poetico di rovesciamento, ed è il gesto a parlare.

A. Geoffray raccoglie e poi manipola immagini, anonime o meno, ritoccandole o riconcependole, ricontestualizzandole, mettendole in scena accanto a parole prese in prestito o scritte da lui stessa. In tutti i casi, è la mano a creare i collegamenti. Così, consideriamo l'intelligenza della mano, il suo potere poetico e la sua capacità di resistenza. La mano è sia strumento che arma, scriveva Aristotele. Fa e rompe, traccia, scrive, misura e prova, come vediamo nella serie "Les Impassibles" (2018). È la mano che ci permette di spostarci da un luogo all'altro, da un'epoca all'altra nell'universo atemporale dell'artista, in una sorta di storia trasversale. La mano è anche un organo di sensazione. Compare in diversi progetti, figurativi o suggeriti. In "Les Élégantes" (2018), ad esempio, la incontriamo come una serie di guanti neri - buste vuote e stese per mani assenti - con parole punzonate che esortano all'azione, in attesa di gesti.

Nella serie "Incidental Gestures" (2011), A. Geoffray trova l'opportunità di riabilitare immagini d'archivio attraverso lo spostamento. Ispirandosi alle fotografie ritoccate utilizzate dai regimi totalitari, l'artista restituisce dignità alle figure delle vittime o, al contrario, rende il banale inquietante. L'opera consiste in questa metamorfosi, in questo spostamento. In effetti, in tutto il suo lavoro, A. Geoffray coglie proprio il momento che precede il cambiamento. La sospensione dell'inevitabile permette l'emergere di un risultato alternativo, per cui può modificare gli ultimi istanti del gesto o fissarne uno incompleto. A metà strada tra la discesa e l'ascesa, i corpi che appaiono catturati in posture ambivalenti o nel mezzo di azioni non identificabili non permettono di trarre una conclusione definitiva. L'opera si oppone al discorso chiuso del visibile e, nel suo impegno per la discontinuità, si confronta con la violenza e la tensione, lasciandoci in quello che l'artista definisce uno stato di "suspense catastrofica".

[Testo di Sally Bonn per Aware, traduzione mia]






















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